Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Lazio e della Toscana M. Aleandri
sieroprevalenza

Sieroprevalenza e fattori di rischio associati all’esposizione a Leishmania infantum nella popolazione canina della regione Lazio

“Seroprevalence and risk factors associated with exposure to Leishmania infantum in dogs, in an endemic  Mediterranean region”

Pasquale Rombolà , Giulia Barlozzari, Andrea Carvelli, Manuela Scarpulla, Francesca Iacoponi, Gladia Macrì – PLoS ONE – Published January 4, 2021 Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Lazio e della Toscana

La leishmaniosi è una malattia parassitaria zoonotica causata in area mediterranea dal protozoo Leishmania infantum. Quest’ultimo è responsabile della leishmaniosi canina (LCan) e della leishmaniosi viscerale e cutanea nell’uomo. Il parassita si trasmette all’uomo e al cane tramite la puntura di insetti vettori appartenenti al genere Phlebotomus spp., denominati comunemente flebotomi o pappataci. Il cane è principale serbatoio domestico del parassita.

Amastigoti di Leishmania intra ed  extracellulari

 

La regione Lazio è una regione endemica per LCan, ovvero la malattia è costantemente presente nella popolazione canina e l’agente patogeno ha un’ampia circolazione, tuttavia sono carenti dati di sieroprevalenza recenti e su larga scala. Ricercatori dell’IZS Lazio e Toscana hanno pertanto stimato la sieroprevalenza di L. infantum nella popolazione canina della regione Lazio e valutato l’influenza di diversi fattori di rischio individuali, ambientali e spaziali sull’esposizione dei cani al parassita.

 

Nel periodo 2010-2014, 13.292 cani (12.128 da canili, 658 di proprietà e 506 non classificati) sono stati testati per la presenza di IgG anti-L. infantum mediante immunofluorescenza indiretta (IFI), utilizzando come cut-off la diluizione sierica 1/80.

 

La sieroprevalenza, considerando la popolazione canina nella sua totalità, è risultata pari al 6,7%. Considerando invece separatamente i cani provenienti dai canili e quelli di proprietà il risultato è stato rispettivamente 7.3% e 74.3%. Questa differenza così marcata tra le due sottopopolazioni può essere spiegata da una distorsione del dato (c.d. bias) causata da differenze nel motivo di prelievo prevalente nei due gruppi. I cani di canile sono stati prevalentemente testati per accertarne lo stato sanitario al momento dell’ingresso, mentre i cani di proprietà sono stati per lo più testati in seguito a sospetto clinico o per follow-up in corso di terapia risultando quindi più frequentemente sieropositivi.

 

All’analisi statistica univariata (analisi che considera ogni fattore di rischio singolarmente) i fattori associati ad un maggior rischio di sieropositività nei confronti di L. infantum sono risultati essere sesso maschile, taglia grande, razza pura, mantello lungo, vivere con altri cani, vivere in aree con foreste/ambiente seminaturale. Appartenere alla razza Pastore Maremmano-Abruzzese è risultato invece essere un fattore protettivo. Sebbene tutti questi fattori di rischio abbiano una loro plausibilità biologica non sono stati confermati all’analisi multivariata (analisi che considera i fattori di rischio nelle loro reciproche interazioni). Quest’ultima ha invece individuato l’età superiore ai 2 anni, appartenere a razze da caccia ed essere cani di proprietà quali fattori di rischio per l’esposizione a L. infantum.

Il presente studio conferma l’endemia della LCan nella regione Lazio ed individua alcuni fattori di rischio che influenzano l’esposizione a L. infantum nei cani che vivono in una regione mediterranea endemica

I risultati ottenuti possono essere il punto di partenza per mettere in atto piani di sorveglianza basati sul rischio.
La riduzione dell’esposizione al parassita nella popolazione canina è infatti importante al fine di limitarne la diffusione in un’ottica di sanità pubblica e di sanità animale.

 

 

 

 

 

 

 

Ricerca scientifica – Studio sulla sieroprevalenza di Coxiella burnetii (febbre Q) nei bovini e negli ovini in Italia centrale

E’ stato recentemente pubblicato sulla rivista “Epidemiology & Infection” l’articolo “Cross-sectional serosurvey of Coxiella burnetii in healthy cattle and sheep from extensive grazing system in central Italy”.

La pubblicazione è stata realizzata da ricercatori dell’IZS Lazio e Toscana in collaborazione con il Servizio Regionale per l’Epidemiologia, Sorveglianza e controllo delle Malattie Infettive (SERESMI) e l’Istituto Nazionale Malattie Invettive (INMI) “Lazzaro Spallanzani”.

Coxiella burnetii è il batterio responsabile della febbre Q, malattia zoonotica che colpisce l’uomo e numerosi animali.
I ruminanti domestici (ovini, caprini e bovini) rappresentano la principale fonte d’infezione per l’uomo, che avviene principalmente mediante l’inalazione di aerosol di materiali contaminati (placente, lettiere sporche, lana, ecc.).

L’esecuzione di studi di sieroprevalenza che valutano la presenza di anticorpi specifici, segno di avvenuto contatto con l’agente patogeno, rappresentano un importante strumento per quantificare l’esposizione della popolazione animale a C. burnetii. L’integrazione tra la sorveglianza in campo veterinario e in campo umano risulta cruciale per conoscere la diffusione di questa zoonosi e adottare appropriate misure di controllo.

Il lavoro ha dimostrato l’elevata esposizione a C. burnetii degli allevamenti bovini e ovini della Provincia di Roma, infatti il 68.5% degli allevamenti bovini e l’87.2% degli allevamenti ovini è risultato positivo agli anticorpi nei confronti del batterio.

In particolare, gli allevamenti con un numero di animali superiore a 92 capi hanno mostrato maggiore rischio di essere esposti a C. burnetii.
Per quanto riguarda l’analisi condotta a livello individuale, il 12.0% dei bovini e il 37.8% degli ovini sono risultati sieropositivi.
I bovini di età maggiore a 66 mesi ed i bovini meticci hanno mostrato un maggior rischio di esposizione. Negli ovini, quelli provenienti da greggi con più di 600 animali hanno mostrato un rischio maggiore di risultare sieropositivi.

Nel lavoro sono stati inoltre descritti ed analizzati i casi di febbre Q notificati nell’uomo nell’area di studio. In 5 dei 7 casi confermati era presente almeno un allevamento esposto nel raggio di 5 km. Sebbene non sia stato possibile identificare la fonte di infezione in nessuno dei casi umani, nell’area di studio non deve essere sottovalutata la possibilità di circolazione di C. burnetii tra gli animali e l’uomo.

La pubblicazione è stata finanziata dal Ministero della Salute nell’ambito del progetto di ricerca corrente IZS LT 13/10 RC.

 

Visualizza l’articolo: Barlozzari, G., Sala, M., Iacoponi, F., Volpi, C., Polinori, N., Rombolà, P., Vairo, F., Macrì, G., Scarpulla, M. (2020). Cross-sectional serosurvey of Coxiella burnetii in healthy cattle and sheep from extensive grazing system in central Italy. Epidemiology and Infection, 148, E9. doi:10.1017/S0950268819002115

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