Centro di Referenza Nazionale (CRN) per l’Antibioticoresistenza

Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Lazio e della Toscana M. Aleandri
Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Lazio e della Toscana M. Aleandri

“Pillole” Per Il Veterinario Pratico

Le “pillole” sono pensate per fornire al Veterinario pratico informazioni indipendenti su aspetti critici relativi ad alcune classi e subclassi di antibiotici registrati per uso veterinario, con l’auspicio di contribuire alla consapevolezza su argomenti prioritari di resistenze agli antibiotici e alla sensibilizzazione circa i “principi di uso prudente” negli animali.


Colistina e uso orale nelle Produzioni Animali

La colistina è un antibiotico appartenente alla classe delle polimixine. Nel documento del WHO List of Critically Important Antimicrobials for Human Medicine* https://www.who.int/foodsafety/areas_work/antimicrobial-resistance/cia/en/ la colistina è classificata tra gli Highest Priority Clinically Important Antimicrobials (Antibiotici di Importanza Critica a più alta priorità).

E’ divenuto negli ultimi anni antibiotico di ultima risorsa, ad utilizzo ospedaliero, ancora in grado di curare nell’Uomo malattie da infezioni sistemiche da batteri della famiglia Enterobacteriaceae (es. Klebsiella., E. coli) che risultano resistenti a quasi tutte le classi di antibiotici, inclusi i carbapenemi (definiti in tal caso Extremely Drug-Resistant, XDR). Purtroppo, in Italia agenti XDR risultano spesso causa delle cosiddette “Infezioni Correlate all’Assistenza” a livello nosocomiale, con un impatto molto rilevante sulla salute pubblica.

Nel settore veterinario in Italia, la quasi totalità della colistina venduta (vedi dati ESVAC) è in formulazioni per uso orale, tipicamente utilizzate nelle somministrazioni “di massa” (somministrazione di gruppo), con l’acqua di bevanda o il mangime.

E’ da sottolineare tuttavia che la colistina, allorché viene somministrata per uso orale, non viene assorbita in dosi minimamente associabili a quelle terapeutiche necessarie a trattare infezioni extra-intestinali.

Pertanto, l’uso per via orale negli animali (ed in particolar modo negli animali zootecnici), è ingiustificato, perché inefficace, se lo scopo è quello di trattare gli animali per malattie batteriche non intestinali (es. malattie batteriche in altri organi o apparati, malattie batteriche sistemiche).

E ciò è vero anche qualora questi batteri risultassero sensibili alla colistina nei test di sensibilità (come ad es. in un referto di laboratorio).

Particolarmente ingiustificato, inoltre è l’utilizzo per via orale della colistina in quelle specie zootecniche, come il pollo, in cui non è neanche mai stata descritta una malattia batterica intestinale da Escherichia coli.

 

* WHO List of Critically Important Antimicrobials for Human Medicine (Ranking of medically important antimicrobials for risk management of antimicrobial resistance) due to non-human use), 5th rev. released in 2017. https://www.who.int/foodsafety/areas_work/antimicrobial-resistance/cia/en/


Aminoglicosidi: caratteristiche farmacologiche e uso orale

Similmente a quanto accade per la colistina, gli aminoglicosidi non vengono assorbiti a livello sistemico qualora siano somministrati per via orale.

Pertanto, risulta inefficace, ingiustificato e contrario ai principi dell’uso prudente il loro utilizzo per via orale allo scopo di trattare malattie infettive batteriche sistemiche (setticemie, malattie infettive batteriche in altri apparati, senza o con l’interessamento dell’apparato intestinale)

Inoltre, gli aminoglicosidi in generale superano con estrema difficoltà la membrana delle cellule degli animali.

Pertanto, risultano non indicati per curare malattie batteriche sostenute da agenti noti per avere una fase intracellulare nel corso delle infezioni da essi sostenute (es. SalmonellaStaphylococcus aureus).


Aminoglicosidi: spettro di utilizzo ed esempi di uso non prudente

Vale la pena sottolineare che gli aminoglicosidi rappresentano l’unica classe di CIA che viene anche utilizzata per il trattamento di malattie protozoarie negli animali. Ad esempio, la paromomicina a livello internazionale ed europeo, è utilizzata per il trattamento di Cryptosporidia, Giardia, Leishmania, Entamoeba histolytica e Balantidium coli. I farmaci veterinari contenenti paromomicina sono attivamente commercializzati sul mercato europeo per la prevenzione della criptosporidiosi nei vitelli. Cryptosporidium è una delle cause più comuni di diarrea nei vitelli e nei piccoli ruminanti. E vengono spesso utilizzati off-label per profilassi, metafilassi e terapia di infezioni da protozoi in altri animali zootecnici.

D’altra parte, non ci sono prodotti contenenti paromomicina-aminosidina approvati per l’uso negli animali da produzione alimentare negli Stati Uniti.

Un ulteriore esempio di uso non prudente di aminoglicosidi si verifica con apramicina. L’apramicina è il principale aminoglicoside responsabile dell’emergenza, diffusione e persistenza della resistenza da apramicina-gentamicina nei bovini, fin da quando fu autorizzata per uso veterinario negli anni ’80 in EU. Inoltre, l’uso di apramicina negli animali è stato identificato come responsabile della resistenza di apramicina-gentamicina nei principali sierotipi di Salmonella causa di zoonosi nell’Uomo (ad esempio S. Typhimurium) e in altre Enterobacteriaceae che causano la malattia sia negli animali che nell’uomo.

Negli ultimi anni, l’apramicina è stata autorizzata nell’UE per la somministrazione orale anche nel pollame, per la colibacillosi. La colibacillosi è una malattia sistemica (malattia multiorgano) causata da E. coli patogeno aviario (APEC). È noto che i ceppi APEC causano infezioni polmonari o sistemiche a seguito di esposizione respiratoria, non attraverso la via intestinale (cioè a seguito di un’enterite).

Purtroppo, l’apramicina per via orale attualmente viene commercializzata per il trattamento della colibacillosi negli avicoli, nonostante non sia assorbita in modo apprezzabile dal tratto gastrointestinale. Questa indicazione rappresenta un’opzione non prudente per prevenire o controllare la colibacillosi aviaria. Le motivazioni addotte per questa indicazione sono che una “riduzione della contaminazione” intestinale e ambientale da parte di APEC in allevamento, attraverso la decolonizzazione del tratto gastrointestinale,migliorerebbe in qualche modo la gestione del gruppo di animali. Tutto questo però non è né scientificamente valido né economicamente vantaggioso. Esistono molti altri metodi per ridurre la contaminazione ambientale da agenti patogeni opportunistici (ad esempio miglioramento dei parametri ambientali, applicazione di protocolli di pulizia e disinfezione, specialmente efficaci “in regime di tutto pieno tutto vuoto” etc.). L’approccio di cui sopra inoltre utilizza l’apramicina in modo non mirato perché al fine di ridurre ipoteticamente un rappresentante minore (quando realmente presente) tra le popolazioni gastrointestinali e ambientali di E. coli, ha l’effetto di distruggere molte utili sottopopolazioni di E. coli commensali, creando dismicrobismo, rendendo gli animali più inclini alle malattie. Infine, cosa altamente rischiosa, esercita una pressione selettiva semicontinuativa/continuativa che favorisce l’emergenza, la diffusione e la persistenza della resistenza alla gentamicina-apramicina nei batteri patogeni animali e nei principali batteri zoonosici, oltre che nelle popolazioni di E. coli patogeni e commensali-opportunisti.


Aminoglicosidi, Cefalosporine di I e II generazione e Salmonellosi

Aminoglicosidi e cefalosporine di prima e seconda generazione non vanno utilizzati nella terapia delle Salmonellosi (ovvero in tutte le malattie sostenute da Salmonella spp.):

Per una maggiore consapevolezza del veterinario, è necessario ricordare che le cefalosporine di prima e seconda generazione, le cefamicine (es. cefoxitina, cefotetan) e gli aminoglicosidianche qualora risultino efficaci in vitro, non sono terapeuticamente efficaci in vivo nei confronti delle malattie sostenute da Salmonella (incluse le Salmonelle associate all’ospite come ad es. S. Dublin, S. Cholerae-suis, S. Typhiumurium etc.), a causa delle caratteristiche fisico-chimiche e farmacocinetiche di queste classi di molecole, e delle caratteristiche infettivologiche e patogenetiche di Salmonella.

In particolare, è noto che gli aminoglicosidi non sono efficaci verso agenti che, durante la patogenesi dell’infezione, possono avere una fase intracellulare (per la difficoltà ad attraversare la membrana delle cellule dell’animale). Non è pertanto corretto usare gli aminoglicosidi neppure nelle enterocoliti da Salmonella (es. nel suino) in quanto Salmonella, oltre a riprodursi a livello intracellulare, invade e supera la lamina propria e spesso si localizza nel tessuto linfoide tributario.

Pertanto cefalosporine di I e II generazione, cefamicine (cefoxitina, cefotetan, cefmetazolo), e aminoglicosidi non dovrebbero essere prescritti né utilizzati per la terapia delle infezioni da Salmonella spp.


Penicilline naturali vs Aminopenicilline

Le aminopenicilline (ovvero amoxicillina, ampicillina), non sono da considerarsi beta-lattamici di prima linea in Medicina Veterinaria.

E’ importante sottolineare che i beta-lattamici “di prima linea” per la gran parte dei più importanti agenti patogeni veterinari sono le penicilline naturali. Esse sono dette anche penicilline a spettro ristretto (narrow-spectrum penicillins) e sono la penicillina G (uso per via e. v., o i. m.), la penicillina V, o fenossimetilpenicillina (uso per os), il penetamato (uso per via intramammaria).

Pertanto varie forme di malattia causata dai principali batteri patogeni veterinari Gram-positivi, come Streptococcaceae (incluso S. suis), Trueperella pyogenesListeria monocytogenesErysipelothrix rhusiopathiae possono essere efficacemente trattate con penicilline naturali. Raramente, tra l’altro, questi agenti patogeni acquisiscono resistenze alle “penicilline”.

Stessa considerazione per il trattamento con penicilline naturali è valido per tutti i batteri del genere Staphylococcus (es. S. aureusS. pseudintermedius) che non abbiano acquisito geni di resistenza che codificano per penicillinasi (vedi linee guida sull’interpretazione dei test di sensibilità ai beta-lattamici e Staphylococcus https://www.izslt.it/crab/wp-content/uploads/sites/8/2018/11/Linee-Guida-beta-lattamici-prototipo-Staphylococcus-spp.pdf)

E’ molto importante ricordare inoltre che le penicilline naturali sono i beta-lattamici di prima linea anche  per le forme morbose sostenute dai principali batteri patogeni veterinari Gram-negativi: es. ActinobacillusPasteurellaMannheimiaHaemophilus, Histophilus. Tra l’altro, la resistenza mediata da “penicillinasi” (codificate da geni che inattivano sia le penicilline naturali che le aminopenicilline) è abbastanza infrequente in questi agenti patogeni.

E pertanto, in ogni caso, laddove i suddetti agenti patogeni dovessero acquisire tali geni di resistenza, risulterebbero resistenti sia alle penicilline naturali (a spettro ristretto) che alle aminopenicillinine (a spettro esteso).

E’ evidente quindi che le aminopenicilline (ovvero amoxicillina, ampicillina), non sono da considerarsi beta-lattamici di prima linea in Medicina Veterinaria.

Vi sono pochissime eccezioni: Le aminopenicilline possono essere considerate beta-lattamici di prima linea soltanto nelle malattie infettive sostenute da alcune Enterobacteriaceae: Salmonella (quando è clinicamente appropriato o quando consentito dalla legislazione dell’UE: vedi Salmonella e pollame, dove l’uso di antimicrobici per il controllo di Salmonella nel pollame è vietato), Proteus mirabilis e Yersinia pseudotuberculosis. Le ultime due specie batteriche non hanno un impatto significativo sulla salute degli allevamenti e sulle produzioni primarie. Per queste specie batteriche le penicilline naturali non sono efficaci.

E’ bene ricordare inoltre che la maggior parte delle altre Enterobacteriaceae sono intrinsecamente resistenti alle aminopenicilline (vedi tra Linee Guida e Strumenti, https://www.izslt.it/crab/resistenze-intrinseche-in-batteri-di-interesse-veterinario/).

Anni fa, le aminopenicilline potevano essere considerate come beta-lattamici di prima linea anche per un uso “empirico” per Escherichia coli. Attualmente, tuttavia è ben noto che c’è molta variabilità nella sensibilità agli antibiotici in isolati di  E. coli coinvolti in malattie infettive negli animali zootecnici (ed elevate prevalenze di resistenza alle aminopenicilline).

Pertanto è necessario sempre servirsi della diagnosi di laboratorio (diagnosi differenziale, colture, test di sensibilità se l’eziologia della malattia è sostenuta da E. coli) per scelte orientate all’uso prudente degli antibiotici in generale, e dei beta-lattamici in particolare, per le malattie causate da E. coli.

Nelle Produzioni Animali, è necessario riconsiderare l’uso che si fa delle aminopenicilline per via orale in Italia. E’ necessario ridurne l’uso complessivo, ed evitare l’uso inutile, inappropriato (dal punto di vista farmacologico e clinico) e l’uso non prudente, specialmente delle formulazioni per via orale.

Perché è necessario limitare l’uso non prudente delle aminopenicilline, e ridurne l’uso complessivo (specialmente l’uso orale) che se ne fa in Italia nelle Produzioni Animali?

Perché l’uso delle aminopeniciclline, esercita pressione di selezione nei confronti di tutti i beta-lattamici, e favorisce l’emergenza e il mantenimento negli allevamenti anche delle resistenze alle cefalosporine a spettro esteso, (cefalosporine di 3° e 4° generazione, come il ceftiofur, il cefquinome in Medicina Veterinaria, o il cefotaxime o il ceftriaxone, in Medicina Umana). Queste molecole sono antibiotici di Importanza Critica a più alta priorità (HPCIAs, vedi sopra) la cui efficacia deve essere conservata il più possibile per poter continuare a curare efficacemente le infezioni invasive nell’Uomo. L’approccio prudente all’uso di queste sottoclassi di beta – lattamici negli animali favorisce anche il mantenimanto dell’efficacia terapeutica delle cefalosporine di 3a e 4a generazione per la terapia nel settore veterinario, ogni qualvolta risultasse indispensabile ricorrere a questi antibiotici in quanto gli agenti batterici causa di malattia risultino resistenti a classi di antibiotici di prima e seconda scelta.

Purtroppo in Italia ancora circa il 25% del totale delle vendite di antibiotici negli animali zootecnici in Italia è rappresentato dalle c. d. “penicilline” (dati ESVAC 2019-2020 https://www.ema.europa.eu/en/veterinary-regulatory/overview/antimicrobial-resistance/european-surveillance-veterinary-antimicrobial-consumption-esvac). E tuttavia è importante specificare, che circa il 90% delle cosiddette “penicilline” vendute sono di fatto “aminopenicilline” (amoxicillina), ed in formulazioni per uso orale. E vengono usate specialmente nel settore suinicolo ed avicolo, per somministrazione di massa.


Uso prudente dei beta-lattamici nelle malattie da Streptococcus suis del suino

Streptococcus suis è generalmente sensibile alle penicilline naturali, alle aminopenicilline e alle cefalosporine di I generazione (es. cefalessina). E l’emergenza di resistenze alle (amino)penicilline è da considerarsi un fenomeno limitato, che va investigato attraverso appropriate conferme diagnostiche, in particolare attraverso l’invio di isolati con fenotipo di resistenza al Centro di Referenza Nazionale per l’Antibioticoresistenza.

Con queste premesse, l’uso empirico di cefalosporine di 3-4° generazione (ceftiofur, cefquinome), non è pertanto mai giustificato

Analogamente, l’approccio terapeutico prudente nei confronti di Actinobacillus pleuropneumoniaeHaemophilus parasuis e Pasteurella multocida (vedi penicilline naturali vs aminopenicilline), non prevede l’utilizzo empirico di cefalosporine a spettro esteso. E’ noto infatti che l’utilizzo non prudente di cefalosporine di 3-4° generazione verso agenti batterici sensibili ad antibiotici di prima e seconda scelta seleziona e diffonde resistenze in agenti batterici patogeni specifici o opportunisti degli animali (es. in Escherichia coli) ed in agenti zoonosici quali, ad esempio, Staphylococcus aureus (Livestock-Associated MRSA) e Salmonella spp.


Macrolidi per uso orale e loro impiego nelle Produzioni Animali

Il documento del WHO sui Critically Important Antimicrobials classifica chiaramente i macrolidi tra gli Highest Priority Critically Important Antimicrobials (HPCIAs) (https://www.who.int/foodsafety/areas_work/antimicrobial-resistance/cia/en), e ulteriori suggerimenti nella linea guida sull’uso dei “Medically Important Antimicrobials” nelle produzioni animali afferma che gli HPCIAs non dovrebbero essere usati negli animali zootecnici per la profilassi / metafilassi (https://www.who.int/foodsafety/areas_work/antimicrobial-resistance/cia_guidelines/en/).

Dai dati del Joint (EMA-EFSA-ECDC) Report JIACRA III (2016-2018, EFSA, 2021) l’Italia è uno tra la minoranza degli Stati Membri EU in cui le quantità di macrolidi (espressi in mg/PCU) venduti per l’uso nelle produzioni animali sono ancora superiori a quelle umane (https://efsa.onlinelibrary.wiley.com/doi/10.2903/j.efsa.2021.6712

la quasi totalità delle vendite negli animali zootecnici in EU è per uso orale, e rappresenta circa il 10% delle vendite totali in mg/PCU (dati ESVAC 2020).

In Italia è fondamentale applicare i principi dell’uso prudente, riconsiderare e ridurre l’uso dei macrolidi per uso orale nelle principali produzioni animali della linea “carne” (avicoli e suini specialmente).

Un’apprezzabile riduzione nelle vendite di macrolidi in Italia si è registrata in Italia soltanto dopo il 2016 (vedi rapporti ESVAC https://www.ema.europa.eu/en/veterinary-regulatory/overview/antimicrobial-resistance/european-surveillance-veterinary-antimicrobial-consumption-esvac).

Attualmente (2020), i quantitativi di vendite di macrolidi in Italia sono poco superiori alla media e circa il doppio della mediana EU.

Quali sono le e conseguenze dell’uso eccessivo e non prudente di macrolidi  in Italia?

Già da molti anni è stato dimostrato che alcuni principali agenti zoonosici associati alle produzioni animali avevano prevalenze elevate di resistenza ai macrolidi. Fin dal 2008 In Italia, la resistenza ai macrolidi di LA-MRSA nei suini, mediata da geni di resistenza acquisiti, era di circa il 60% (Battisti et al.,  2010; https://doi.org/10.1016/j.vetmic.2009.10.008).

Nel 2016 la resistenza in Campylobacter jejuni nei polli da carne ha raggiunto l’8,1%, sempre in co-resistenza ai fluorochinolonici, e nel tacchino il 3,1% (EU Summary Report on AMR 2016, https://efsa.onlinelibrary.wiley.com/doi/epdf/10.2903/j.efsa.2018.5182). A tal proposito Campylobacter jejuni resistente alla ciprofloxacina è da molti anni comune e molto diffuso in Italia: ad esempio, fin dal 2008, si era osservata una prevalenza di almeno 80% di nel pollo da carne. Se la co-resistenza ai macrolidi si diffondesse ulteriormente, sarebbe sicuramente di impatto negativo per la Salute Pubblica (Campylobacter jejuni è causa delle maggior numero di casi di malattia da agenti batterici patogeni trasmessi con gli alimenti in Europa, con circa 246.000 notifiche di casi di malattia da Campylobacter l’anno, vedi ECDC-EFSA Joint EU Summary Report Zoonoses 2017 https://efsa.onlinelibrary.wiley.com/doi/10.2903/j.efsa.2018.5500).

La resistenza ai macrolidi è un problema emergente anche in Salmonella spp. (ed E. coli) nelle produzioni animali in Italia e in UE. In alcuni casi, le percentuali di resistenza all’azitromicina in Salmonella spp. nei polli si aggirano intorno al  6,0% in Portogallo e l’8,0% circa in Germania nel 2016. In E. coli, in Italia è di circa il 2,3% e supera il 10% in alcuni paesi dell’UE (cfr. tabella 17, pagina 81 e tabella 45, pag. 179 EU Summary Report on AMR 2016, https://efsa.onlinelibrary.wiley.com/doi/epdf/10.2903/j.efsa.2018.5182).

Qualora in Italia non si raggiunga una stabile riduzione dell’uso di macrolidi per via orale nelle produzioni animali (specialmente nei suini e pollame), si influirà negativamente sulle prevalenze di resistenza verso i macrolidi in alcuni dei principali agenti zoonosici: LA-MRSACampylobacter jejuni e C. coli, nei quali sono in entrambi i casi già elevate. Inoltre si favorirà l’emergenza di resistenze dovute a determinanti trasferibili in Salmonella spp. ed anche in Campylobacter, e l’ulteriore loro diffusione in agenti patogeni opportunisti, come ad esempio  E. coli.

In alcuni casi, purtroppo, mutazioni cromosomiali e geni acquisiti che codificano la resistenza ai macrolidi sono una realtà dimostrata da vari anni negli isolati batterici degli animali zootecnici dell’UE (come riportato negli EU Summary Reports on AMR degli ultimi anni). Come già sopra ricordato, la resistenza ai macrolidi è ben nota in Campylobacter jejuni e C. colie quella mediata da geni erm è già una caratteristica molto comune in LA-MRSA CC398, CC1, CC97 (specialmente in Italia).


Macrolidi per uso orale e allevamento suino

L’approccio dell’advice “Categorisation of antibiotics in the European Union” dell’Antimicrobial Advice Ad Hoc Expert Group”, (AMEG) in seno all’European medicines Agency (EMA), per la categorizzazione basata sul rischio per la salute umana degli antibiotici registrati per uso veterinario, tiene conto tra le variabili della “presenza di poche alternative in medicina veterinaria per alcune indicazioni” per stilare la categorizzazione.

Per i macrolidi in medicina veterinaria, tuttavia, l’unica argomentazione proposta a favore di “esistenza di poche alternative” per i macrolidi in medicina veterinaria è “la malattia enterica emorragica da Lawsonia intracellularis, agente opportunista associato al suino, che in rari casi causa una forma clinica, con segni di ileite emorragica. Questa argomentazione, tuttavia, comporta il rischio che i macrolidi possano essere usati in dosaggi subterapeutici o addirittura terapeutici per via orale per la “prevenzione”, “metafilassi” o “trattamento” delle “infezioni” di L. intracellularis anche quando c’è nessun segno di malattia (cioè segni di ileite cronica o acuta). Piuttosto che “in caso di infezione” , i macrolidi dovrebbero essere usati solo quando c’è condizione clinica o patologica (“malattia”) accertata da L. intracellularis, cioè ileite.

In questo caso, un approccio più prudente sarebbe quello di utilizzare macrolidi su base individuale e selettiva (cioè ad es. per via iniettiva, o per via orale ai soli individui con segni clinici, opportunamente separati dal restante gruppo di animali) solo negli animali che mostrano segni di malattia clinica, come già adottato nelle buone pratiche in alcuni paesi UE.

In effetti, vi è il rischio che la diagnosi di “infezione” da L. intracellularisottenuta attraverso test sierologici o PCR (la maggior parte degli allevamenti ha alta probabilità di risultare positiva, in Italia e in diversi paesi dell’UE), diventi una “documentazione di laboratorio” sufficiente ad instaurare un trattamento con macrolidi indipendentemente da segni clinici o lesioni anatomo-isto-patologiche. Sfortunatamente, la proposta di tenere in considerazione la “malattia enterica emorragica da L. intracellularis” sembra essere l’unico argomento rimasto per continuare a somministrare cicli di macrolidi a tutti gli animali all’interno di un gruppo, anche senza una diagnosi di malattia.

Inoltre, in generale e nel caso specifico dei macrolidi, l’argomentazione non prende in considerazione le valide alternative disponibili per prevenire e contrastare l’ileite suina, diverse dalla “prevenzione, metafilassi o terapia antibiotica con macrolidi”.

E’ infatti importante ricordare che alcuni vaccini per l’immunizzazione contro l’infezione e la malattia da L. intracellularis sono già disponibili sul mercato dell’UE, e altri sono attualmente sottoposti a procedure normative. Vedi ad esempio letteratura meno e più recente sull’argomento: https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC5846845/. Inoltre, ad esempio, anche le tetracicline possono essere utilizzate per la malattia di L. intracellularis nei suini.

I macrolidi pertanto non sono una risorsa essenziale in Italia ed in Europa per la malattia da L. intracellularis nel suino.


Antibiotici non efficaci clinicamente in vivo nei confronti di Enterococcus spp.

Alcuni antibiotici, tra cui anche quelli registrati per uso veterinario, non sono efficaci clinicamente in vivo nei confronti di infezioni e malattie sostenute da Enterococcus spp., nonostante possano apparire efficaci nei test di sensibilità agli antibiotici in vitro.

Essi sono: cefalosporine, clindamicina, trimethoprim+sulfametoxazolo, aminoglicosidi 1 (eccetto i test di sensibilità per valutare livelli elevati di resistenza, ovvero gentamicina o streptomicina).

Pertanto tali antibiotici non dovrebbero essere riportati per Enterococcus spp. in un referto di test di sensibilità agli antibiotici per scopi clinici.

 

1: Infatti gli Enterococci sono intrinsecamente resistenti a livelli di aminoglicosidi utilizzati nella terapia delle malattie sostenute da altri agenti batterici patogeni (c. d. “bassi livelli di dosaggio”). Ciò è dovuto ad inefficiente trasporto attivo attraverso la membrana citoplasmatica dell’agente. Pertanto gli aminoglicosidi, se utilizzati da soli, sono considerati inefficaci nel trattamento delle infezioni da Enterococcus spp.. In casi particolari (e ad alto dosaggio), possono essere associati ad un inibitore della sintesi della parete batterica, che ne facilita l’ingresso nella cellula batterica.


Amfenicoli: Cloramfenicolo, Tiamfenicolo, Florfenicol, loro uso negli animali zootecnici e resistenze

Gli amfenicoli agiscono come potenti inibitori della sintesi proteica batterica e sono attivi nei confronti di vari agenti batterici patogeni sensibili, sia Gram-positivi che Gram-negativi.

La resistenza agli amfenicoli è stata riportata nell’Uomo e negli animali già da alcuni decenni ed è cresciuta nel tempo nel settore degli agenti patogeni e zoonosici delle produzioni animali (es. Salmonelle multidrug-resistant, come S. Typhimurium DT104 e assimilabili).

Uno dei motivi del divieto dell’uso del cloramfenicolo nelle produzioni animali, considerato anche l’uso orale che ne era invalso, fu originato dall’aumento delle resistenze e delle multiresistenze in agenti patogeni animali e zoonosici negli allevamenti di animali zootecnici.

Gli amfenicoli registrati per uso veterinario (tiamfenicolo e florfenicol), sono stati classificati nel Gruppo C (“Caution”) nella recente EMA-AMEG classification, in seguito a specifica richiesta della EC di classificazione del rischio per la salute umana derivante da antibiotici per uso veterinario.

Il tiamfenicolo è un analogo del cloramfenicolo (sostituzione del gruppo NO2 con un gruppo metilsulfonato) ed ha lo stesso spettro di sensibilità del cloramfenicolo.

Nel tempo sono emersi vari meccanismi di resistenza al cloramfenicolo/tiamfenicolo, dovuti a geni di resistenza acquisiti o a pompe di efflusso.

Pertanto, le resistenze acquisite dagli agenti batterici verso cloramfenicolo causano resistenza anche nei confronti del tiamfenicolo, e viceversa.

Con la registrazione di amfenicoli fluorinati nel settore della terapia veterinaria (florfenicol) sono emersi meccanismi genetici di resistenza anche al florfenicol sia in batteri Gram-positivi che il Gram-negativi (inclusi gli agenti zoonosici, come Salmonella spp.).

In un agente batterico, la resistenza al florfenicol (mediata ad es. gene floR) estende anche verso il cloramfenicolo/tiamfenicolo, mentre altri meccanismi di resistenza al cloramfenicolo/tiamfenicolo non estendono la resistenza verso il florfenicol.

Tuttavia la pressione di selezione derivante da un uso estensivo di tiamfenicolo (specialmente se per via orale e nella somministrazione di massa), favorisce anche la diffusione della resistenza agli amfenicoli mediata da geni di resistenza verso il florfenicol.

Per consapevolezza del veterinario pratico, quindi, l’uso estensivo del tiamfenicolo seleziona per resistenze al cloramfenicolo (le due molecole hanno lo stesso spettro e vengono inattivate dagli stessi meccanismi genetici), e soprattutto favorisce l’emergenza e/o diffusione di meccanismi di resistenza “totipotenti” agli amfenicoli.

In conclusione, per quanto vi siano attualmente registrazioni di tiamfenicolo per uso orale (es. polli e tacchini), se ne raccomanda un uso prudente, assolutamente limitato ai casi eziologicamente documentati. In pratica, ai casi in cui l’agente di malattia è un agente batterico patogeno sottoposto a un test di sensibilità agli antibiotici che indica assenza di alternative di trattamento con altre classi di molecole di prima e seconda scelta.

 


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