Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Lazio e della Toscana "M.Aleandri"

Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Lazio e della Toscana M. Aleandri

VARROATOSI

Scarica le linee guida lotta alla varroa 2017

Scarica l’articolo su anatomia e biologia di Varroa destructor

Introduzione

Varroa destructor (Anderson & Trueman 2000) è l’acaro responsabile della varroatosi delle api, malattia che in assoluto arreca le maggiori perdite economiche al settore apistico. Tale patologia, infatti, deve continuamente essere contenuta su livelli d’infestazione compatibili con la sopravvivenza delle colonie di api mediante periodici trattamenti farmacologici, pena la morte delle famiglie nell’arco di una o due stagioni apistiche. La varroa è un’ectoparassita che esercita un’azione spolatrice e meccanico-traumatica a carico delle api adulte e della covata, sottraendo emolinfa mediante il suo apparato buccale pungente e succhiante.

Fino a pochi decenni fa Varroa destructor (V. destructor) parassitava solo l’ape asiatica. A causa della pratica apistica dello spostamento di colonie di api a fini produttivi (nomadismo) ed al commercio di sciami, Apis cerana e Apis mellifera sono entrate in contatto e questo ha comportato l’inevitabile diffusione del parassita. La presenza della varroa è stata rilevata nelle Repubbliche Sovietiche su Apis mellifera già alla fine degli anni ’60, nei Paesi dell’Est Europa dall’inizio degli anni ’70. In Italia è ufficialmente stata segnalata in Friuli nel 1981 ed in Francia nel 1982. Ad oggi solamente l’Australia risulta indenne da tale malattia anche se ne è stato segnalato il primo caso in Australia nel 2016 (Link).

Morfologia

La varroa presenta un accentuato dimorfismo sessuale.

Le femmine sono le sole a realizzare l’azione parassitaria diretta spolatrice e meccanico-traumatica a carico delle api. Possono vivere per diversi mesi, sono di colore rosso intenso/marrone e presentano forma ellittica Il dorso, di consistenza coriacea, è convesso e ricoperto di peli che sono presenti anche lungo il bordo, a pettine su ciascun lato.

Le dimensioni delle femmine di varroa si diversificano a seconda delle aree geografiche. In media sono larghe 1,5 mm e lunghe 1,1 mm. Il lato ventrale presenta una serie di placche chitinose, anch’esse ricoperte di peli con funzione sensoriale, collegate da una sottile membrana provvista di piccole scanalature. Le placche hanno forme e dimensioni legate alla funzione svolta: la placca ventrale al centro è la più grande, posteriormente a questa si trovano due piccole placche tra le quali è situato l’orifizio anale.

Il maschio di V. destructor ha forma sferica, colore biancastro e dimensioni inferiori a quelle della femmina, pari a circa 0,8 mm di diametro. Possiede un corpo molle e poco cheratinizzato (confondibile con lo stadio immaturo della varroa femmina). Lo scudo dorsale ha una forma convessa ed è provvisto di un numerosi peli. Le 4 paia di zampe sono rivolte in avanti, contrariamente alle femmine.

Durante la sua vita, che si svolge interamente all’interno delle cellette di covata delle api, non è in grado né di nutrirsi, né di svolgere un’azione parassitaria diretta sulle api in quanto i cheliceri del suo apparato boccale sono trasformati in spermatofore che utilizza nei suoi veloci accoppiamenti con le femmine, per fecondarle (Delfinado e Baker, 1974).

Anatomia

I cenni di anatomia di V. destructor che seguono sono riferiti alla femmina del parassita.

L’apparato locomotore è costituito da quattro paia di zampe situate antero-lateralmente e ricoperte da peli. Il primo paio è proteso in avanti e munito di organi di senso; le altre tre paia di zampe sono impiegate per la locomozione. Le zampe sono articolate sulla coxa e terminano con una piccola ventosa adesiva e trasparente detta apotele. Tali caratteristiche permettono alla varroa femmina di muoversi molto velocemente all’interno dell’alveare.

La respirazione del parassita avviene tramite un sistema interno di trachee che convergono verso un orifizio respiratorio posizionato tra il secondo ed il terzo paio di zampe. L’orifizio è nascosto in una depressione delle placche chitinose ventrali, tappezzata di piccole setole; da esso protrude un diverticolo esterno detto peritrema provvisto di una discreta mobilità: esso aumenta di dimensioni e favorisce gli scambi gassosi quando il parassita è all’interno della celletta o quando il tasso di anidride carbonica è elevato.

L’apparato buccale di V. destructor si trova anteriormente, tra il primo paio di zampe. Esso comprende 2 cheliceri che il parassita impiega per tagliare la chitina dell’ape adulta e lacerare la cuticola di larve e pupe; a loro volta i cheliceri sono dotati di piccoli speroni detti pedipalpi che consentono l’ancoraggio della varroa sull’ape adulta. La faringe è dotata di un robusto sistema muscolare che le permette di succhiare l’emolinfa. Tutti gli stadi di sviluppo del parassita femmina si nutrono dell’emolinfa delle api. La quantità di emolinfa ingerita dalle varroe varia in funzione del periodo dell’anno. Il tubo digerente comprende un esofago, un intestino medio con sei intestini ciechi e tubi malpighiani che si uniscono al retto per confluire nell’orifizio fecale. La defecazione avviene di continuo.

Il sistema nervoso della varroa è formato da un ganglio sotto esofageo avvolto da una membrana corticale.

L’orifizio genitale è situato trasversalmente all’altezza del secondo paio di zampe, vicino alla placca detta “genito-ventrale”. La femmina è provvista anche di una spermateca che le permette di accumulare e conservare gli spermatozoi del maschio ricevuti con la fecondazione.

Ciclo biologico

La vita della femmina di Varroa destructor è ritmata dall’alternanza tra la fase riproduttiva all’interno delle cellette di covata e la fase foretica sulle api adulte.

Per riprodursi, quando l’ape parassitata passa sopra un favo di covata, la varroa femmina scende in una celletta di covata aperta (circa 24 ore prima che venga opercolata) e si posiziona tra la larva e la parete della cella. Questo processo dura circa 65 secondi. Immersa nella pappa reale, il parassita aspetta inabile l’opercolatura della celletta.

Subito dopo l’opercolatura della cella, la larva dell’ape in metamorfosi inizia a nutrirsi della pappa reale. Il primo pasto della larva rappresenta un segnale per la varroa madre la quale si porta sulla larva, perfora la cuticola ed inizia a nutrirsi della sua emolinfa. Dopo circa 36 ore la larva dell’ape inizia la tessitura del bozzolo in cui effettuerà la metamorfosi. Durante questa operazione, la varroa rimane addossata saldamente alla larva, evitando così di essere intrappolata tra il bozzolo e la parete della celletta di covata. La larva dell’ape operaia impiega 33 ore per costruire il bozzolo, mentre la larva del fuco (maschio dell’ape) ne impiega 48. Una volta che il bozzolo è ultimato, la larva dell’ape smette di muoversi e si distende con la testa verso l’opercolo della celletta raggiungendo lo stadio di prepupa.

Quando il bozzolo è tessuto, l’ape entra in una fase preninfale immobile durante la quale la varroa madre sceglie un luogo ben preciso in cui raccogliere le sue feci (Figura 8 e Figura 9): il sito di accumulo fecale (AF). Quest’ultimo rappresenta un punto di riferimento importante nell’economia gestionale dello spazio della varroa madre e della sua discendenza all’interno della celletta di covata. L’AF appare come una piccola macchia di colore bianco solitamente ubicata nella parte posteriore della parete della celletta. La presenza del sito di accumulo fecale è considerata segno patognomonico d’infestazione di varroa delle celle di covata.

Dopo 60 ore (2,5 giorni) dall’opercolatura delle cellette, la varroa madre cerca il sito opportuno per la deposizione delle uova; solitamente lo trova in uno degli angoli nella parte anteriore della celletta (Figura 9) in cui deporrà il suo primo uovo. La varroa madre rimane immobile per un minuto e non appena il primo uovo emerge dall’orifizio genitale con il primo paio di zampe lo mantiene contro la parete della cella per circa 20 minuti finché non è saldamente adeso a quest’ultima. Tale posizione permette alla protoninfa di varroa, al momento della schiusa dell’uovo, di avere le zampe orientate verso l’ape in modo da potersi dirigere immediatamente su di essa.

La varroa madre, durante la fase prepupale dell’ape (dall’opercolatura fino al 4° giorno dopo l’opercolatura) sale su quest’ultima per tre minuti, quindi si sposta sul sito di accumulo fecale (dove posa quasi il 90% del suo tempo) e poi sul sito dedicato alla ovodeposizione.

Una varroa può deporre un massimo di 6 uova ogni 30 ore per ciclo riproduttivo. Dal primo uovo (aploide) nascerà l’unico maschio della covata; dalle successive uova (diploidi) nasceranno solo femmine. Il maschio è già sessualmente maturo quando la prima femmina è adulta, in modo da potersi accoppiare subito con quest’ultima. Successivamente, il maschio si accoppia con le altre femmine sorelle, non appena maturano. Le femmine così fecondate sono già in grado di dare inizio ad un nuovo ciclo riproduttivo dopo un periodo di maturazione di almeno 5 giorni (Colin, 1982).

L’entità della riproduzione della varroa è legata alla durata della metamorfosi delle pupe nelle celle di covata, ovvero 12 giorni per le api operaie e 15 giorni per i fuchi. E’ probabilmente questo uno dei motivi di predilezione della covata di fuchi rispetto alla covata delle api operaie da parte della varroa: la più lunga durata della metamorfosi permette la nascita e la fecondazione di un numero maggiore di femmine del parassita.

Se il maschio muore prima dell’accoppiamento, le femmine rimarranno irreversibilmente sterili ed incapaci di procreare a causa di una involuzione del loro apparato genitale.

Al termine della fase prepupale dell’ape (4° giorno dopo l’opercolatura), la maggior parte delle celle di covata infestate hanno un unico sito AF nella parte posteriore della celletta di covata opercolata e le uova nella parte superiore.

Il tempo di alimentazione sulla pupa è di circa 2 ore (contro i 3 minuti della prepupa). Il sito di alimentazione sulla pupa è di fondamentale importanza per le protoninfe di varroa in quanto sono incapaci di perforare l’ape per alimentarsi ed esso rappresenta l’unica possibilità per la loro alimentazione. Tale sito di alimentazione è sempre localizzato a livello dell’addome della pupa in modo da non comprometterne la sopravvivenza: la morte della pupa impedirebbe all’ape di giungere a fine metamorfosi e, conseguentemente, anche ai parassiti di uscire dalla celletta.

Al momento dello sfarfallamento dell’ape, la discendenza della varroa madre si trova all’interno della cella. Le varroe figlie adulte fecondate appena uscite dalla cella cercheranno di salire su api adulte passando così alla fase foretica. Le varroe femmine immature ed i maschi, non possedendo un apparato boccale in grado di forare il tegumento delle api, non riusciranno a sopravvivere al di fuori della celletta.

Il numero di cicli riproduttivi che può compiere una femmina di varroa è ancora oggetto di discussione. In vitro si è potuto dimostrare che una varroa madre può compiere fino a 7 cicli generando così 35 potenziali discendenti fecondi. Questo numero di cicli è tuttavia minore in condizioni naturali: solo il 30% delle varroe madri riusciranno a realizzare un primo ciclo riproduttivo, il 21% un secondo e solo il 14% arriveranno a realizzare un terzo ciclo riproduttivo.

Ontogenesi di Varroa destructor

Le uova di Varroa destructor sono ovali, biancastre e lunghe circa mezzo millimetro. Attraverso la membrana sottile si intravede l’embrione che nel giro di 24 ore si sviluppa in larva esapode; questa dopo altre 24 ore muta in protoninfa e fuoriesce dall’uovo. Le protoninfe di entrambi i sessi sono simili tra loro: rotondeggianti, misurano 0,7 mm e sono di colore bianco. Presentano 4 paia di zampe protese in avanti ed hanno una scarsa mobilità. Lo stadio di protoninfa dura 5 giorni nella femmina e 3 giorni nel maschio. A tale stadio fa seguito, dopo una ulteriore metamorfosi, quello di deutoninfa che dura 1-2 giorni sia per i maschi che per le femmine (Colin, 1982). In queste comincia già a manifestarsi il dimorfismo sessuale: le femmine hanno forma ellittica ma dimensioni minori dell’adulto (1,0 mm di lunghezza per 1,3 mm di larghezza) (figura 10). I maschi adulti sono simili alle protoninfe: di forma tondeggiante e di colore bianco; posseggono però, rispetto a queste, un corpo più spigoloso e più piccolo (Smirnov, 1978; Hirschmann,1980).

Complessivamente, dalla deposizione dell’uovo alla formazione dei parassiti adulti passano 8-9 giorni per le femmine e 6-7 giorni per i maschi. Queste fasi di sviluppo sono caratterizzate da una significativa mortalità, soprattutto a carico delle deutoninfe: in media solo 1,4 femmine raggiungono l’età adulta in una cella di operaia, contro 2,2 in una cella da fuco. La giovane femmina adulta ha un corpo marrone chiaro, mentre la femmina con più di 24 ore ha il corpo marrone scuro.

Sincronizzazione dei cicli di sviluppo di ape e varroa.

In blu: sviluppo dell’ape: i numeri indicano i giorni di distanza dall’opercolatura.

In rosso: sviluppo delle varroe: la lettera omega indica la deposizione delle uova

Sintomatologia

Nelle famiglie fortemente parassitate di varroa è possibile apprezzare già ad occhio nudo le varroe femmine sul corpo delle api adulte; è inoltre possibile notare la covata sparsa (indice di elevata mortalità), un puzzo tipico di covata morta, api piccole, con ali deformi, raggruppamenti di api piccole ed incapaci di volare sul predellino, un indebolimento della famiglia, fenomeni di sciamatura, orfanità e di sostituzione di regina.

La durata media della vita delle api fortemente parassitate diminuisce sempre di un valore che va dal 25% al 50%. E’ bene sottolineare che l’azione della varroa consiste non solo nel suggere l’emolinfa dell’ape adulta o della larva (azione sottrattiva), ma anche nel colpire direttamente determinati apparati dell’ape in fase di sviluppo (azione meccanico-traumatica) e nell’esporre le api ad altri patogeni quali i virus in primis, ma anche funghi e batteri. Questo acaro, infatti, può essere vettore di agenti patogeni con diversa natura eziologica: virus soprattutto, ma anche funghi e batteri.

Trasmissione

Questa malattia parassitaria si trasmette alle api sane mediante il contatto diretto con le api infestate. Questo può avvenire soprattutto attraversi i fenomeni di saccheggio, la deriva, oppure tramite i fuchi che hanno libero accesso nei diversi alveari. Da qui l’importanza di effettuare contemporaneamente i trattamenti antivarroa, sia all’interno di uno stesso apiario, che tra apiari limitrofi. Un aspetto determinante per l’efficacia dei trattamenti è infatti il coordinamento a livello territoriale; questo serve a non vanificare gli interventi terapeutici adottati a causa della reinfestazione (che avviene soprattutto a fine estate quando il numero di varroe è più elevato), fenomeno che consiste nella ri-colonizzazione da parte della varroa di un alveare o di un apiario già disinfestato.

Ma la trasmissione di varroa può avvenire anche attraverso l’apicoltore nel corso delle normali pratiche apistiche, come ad esempio nel trasferimento di favi di covata parassitata da una famiglia ad un’altra, oppure mediante la pratica del nomadismo (in caso di alveari molto malati oppure quando viene trascurata la lotta alla varroa negli alveari spostati).

Valutazione del livello di infestazione

Poiché l’evoluzione della malattia è normalmente poco evidente, diviene di fondamentale importanza tenere sotto controllo il numero dei parassiti presenti negli alveari mediante controlli periodici sia della caduta naturale che della caduta dopo trattamenti antivarroa. Questo si realizza verificando il numero di parassiti che cadono sul fondo dell’arnia, nel cassettino diagnostico. Se in primavera cadono più di 5 varroe/giorno per alveare, ci troviamo davanti ad un caso di elevata infestazione di varroa.

La diagnosi clinica in caso di infestazione massiva è semplice dal momento che i parassiti diventano visibili ad occhio nudo sulle api adulte. Il livello di infestazione può essere valutato anche verificando il numero di varroe presenti nella covata maschile (che è la più colpita). Questo si ottiene disopercolando con la forchetta le celle da fuco ed eseguendo un attento esame visivo delle larve. Trovare più di 3 cellette infestate su 10 in primavera/inizio estate è indice di un grado elevato di infestazione.

In caso di infestazione massiva è necessario ricorrere in tempi brevissimi ad interventi curativi antivarroa.

Trattamenti terapeutici

E’ qui necessario fare una premessa: nella lotta alla varroa esistono attualmente pochi strumenti a disposizione dell’apicoltore ed in ogni caso non gli consentiranno mai di eliminare del tutto (eradicare) il parassita dagli alveari. Per questo motivo i trattamenti antivarroa potranno solamente contenere il numero degli acari presenti negli alveari. L’apicoltore deve quindi imparare a convivere con la varroa, adottando efficaci strategie di lotta e puntando a ridurre l’entità di questa parassitosi per salvare le sue colonie. L’acaricida ideale deve possedere almeno il 90% di efficacia, non è tossico per le api, né per l’apicoltore ed i consumatori, è di facile e rapido impiego ed è economico. I trattamenti antivarroa vanno effettuati in condizioni ottimali perché possano risultare efficaci. Tali condizioni possono essere rappresentate, ad esempio, dalla presenza di un blocco (od una forte riduzione) della covata in inverno, come pure da temperature estive sufficientemente elevate da consentire l’evaporazione degli oli essenziali in estate. Interventi improvvisati o tardivi potrebbero risultare del tutto inefficaci contro la varroa.

Costante dovrà essere quindi il monitoraggio effettuato dall’apicoltore sul livello di varroa presente nelle sue famiglie. L’efficacia dei trattamenti antivarroa è spesso direttamente condizionata da: temperature ambientali (e, quindi l’andamento stagionale, l’altitudine), la presenza di covata e la resistenza ai diversi principi attivi delle popolazioni di varroa presenti in apiario. In linea generale, è buona prassi realizzare i trattamenti ogni qualvolta si verifichi un blocco di covata (es. in caso di sciamatura, di raccolta di sciami, oppure, in funzione delle zone: novembre/dicembre o agosto), come pure quando i livelli di varroa sono molto elevati o si reputano tali (ad esempio, a fine estate, subito dopo la smielatura).

E’ di fondamentale importanza, per tutelare la qualità e la salubrità del miele, non effettuare i trattamenti in presenza di melario. Inoltre, tutti i prodotti antivarroa devono essere manipolati con estrema prudenza e devono essere annotati sul registro dei trattamenti.

La periodica rotazione dei principi attivi impiegati per la lotta alla varroa limita il rischio di insorgenza di fenomeni di resistenza. Tale fenomeno è particolarmente evidente per alcune sostanze quali, ad esempio, il fluvalinate.

Si esorta l’apicoltore ad ottimizzare l’efficacia dei trattamenti realizzandoli su tutti gli alveari presenti nello stesso apiario al fine di evitare il fenomeno della reinfestazione. Risultati migliori si possono ottenere, infine, se gli interventi di tutta una stessa zona geografica con caratteristiche pedo-climatiche simili avvenissero contemporaneamente.

Farmaci a base di timolo (da impiegare con una temperatura media superiore ai 20°C):

Apiguard.  Sono vaschette contenenti 12,5 grammi di timolo in forma gel che rilasciano gradualmente tale principio attivo negli alveari. La somministrazione si effettua posizionando una vaschetta aperta (con il gel rivolto verso l’alto) in posizione centrale sopra i telaini (dopo aver rigirato il coprifavo dell’arnia). Dopo due settimane si effettua un secondo trattamento con la medesima modalità.

Apilife var. Sono tavolette a base di timolo, canfora, mentolo e eucalipto, prodotte dalla ditta Chemicals Laif. Una tavoletta di Apilife var, divisa in quattro parti, va posizionata sopra i telaini ai quattro angoli dell’alveare, lontana dalla covata. Il trattamento va ripetuto ogni 7 giorni per un totale di 4 trattamenti rimuovendo ogni volta i residui alla fine del trattamento.

Thymovar. E’ un panno spugnoso (5cm X 14,5cm) contenente timolo. Posizionare 3 mezze strisce di Thymovar per arnia dopo averle divise utilizzando le forbici. Rimuovere le strisce esaurite dopo 3-4 settimane e sostituirle con delle nuove, per altrettanto periodo di tempo. Rimuovere le strisce a fine trattamento.

Farmaci a base di acido ossalico (da impiegare in assenza di covata):

Apibioxal. Si può usare sia gocciolato che sublimato. La sua efficacia è soddisfacente soltanto in periodi in cui vi è una naturale diminuzione o assenza di covata, oppure in seguito ad un blocco di covata indotto in modo artificiale. La presenza di covata, infatti, può ridurre sensibilmente l’efficacia del prodotto.

  • Uso del prodotto in modo gocciolato.

Dopo l’ultimo raccolto di miele, confinare la regina in una gabbia e dopo 21 giorni, liberare la regina ed eliminare l’eventuale favo trappola. Dopo altri 3 giorni somministrare l’Apibioxal secondo le istruzioni riportate sull’etichetta.

  • Uso del prodotto per sublimazione

La sublimazione può essere ottenuta mediante diversi sublimatori presenti in commercio. Preparare il sublimatore. Indossare una maschera protettiva (tipo FFP2) per naso e bocca, occhiali, guanti di gomma e tuta in gomma resistenti agli acidi. Durante il trattamento l’apicoltore deve fare attenzione alla direzione del vento e a non operare in posizione sottovento.  I microcristalli di ossalico prodotti dalla sublimazione permangono dentro l’arnia anche a distanza di tempo dal trattamento. L’operatore dovrà quindi proteggersi sempre con maschera protettiva tipo FFP2, guanti e occhiali durante le visite successive per evitare di inalare i microcristalli di acido ossalico dannosi per la mucosa respiratoria. L’inalazione dei microcristalli può avvenire in concomitanza anche al controllo del fondo dell’arnia.

Oxuvar.

Farmaci a base di acido formico (da impiegare con una temperatura media pari o superiore ai 25°C):

MAQS. Acronimo di Mite (acaro), Away (fuori), Quick (veloce), Strips (strisce) – è un farmaco veterinario a base di acido formico veicolato mediante un gel saccaridico che ne permette una evaporazione graduale. Ogni striscia contiene 68,2 g di acido formico.

L’aspetto più interessante di questo formulato sembra essere la penetrazione dell’acido all’interno della cella opercolata e quindi l’efficacia del prodotto anche in presenza di covata opercolata. Temperature superiori a 29,5°C possono comportare una mortalità anomala delle api regine e della covata non opercolata per la repentina ed eccessiva evaporazione. Il MAQS può essere venduto soltanto dietro prescrizione di ricetta medico veterinaria, non ripetibile, in copia unica.

  • Modalità di trattamento

Estrarre con cautela le due strisce dalla bustina senza rimuovere la carta. Nel caso di alveari con singolo nido, adagiare le due strisce sopra i montanti dei favi posizionandole in modo che siano adagiate piatte lungo l’intera lunghezza del corpo dell’arnia a circa 5 cm di distanza l’una dall’altra e con i bordi delle strisce a 10 cm di distanza dal bordo del nido. In presenza di melario posizionare le strisce sotto l’escludi-regina.

Dosaggio: 1 bustina (ossia 2 strisce) per arnia. Il periodo di trattamento è di 7 giorni. Attendere almeno un mese prima di ripetere l’applicazione e non usare contemporaneamente con altri acaricidi contro la varroasi.

Varterminator. è un farmaco veterinario a base di acido formico veicolato mediante un gel che ne permette una evaporazione graduale. Si presenta sotto forma di tavoletta in gel trasparente e priva di residui di polvere indisciolta, contenuta in un sacchetto di tessuto non tessuto di colore biancastro.

Dosaggio: per ogni alveare applicare due tavolette da 250 g e sostituirle con altre due dopo 10 giorni.

Apifor60.

Farmaci di sintesi non utilizzabili in apicoltura biologica:

Apistan.  Il principio attivo dell’Apistan è il fluvalinate. In commercio sono presenti confezioni da 10 strisce. Si impiegano 2 strisce per ogni alveare posizionate tra il secondo e terzo e l’ottavo e nono telaino in un alveare sviluppato su 10 telaini. L’efficacia aumenta in assenza di covata. Le strisce possono essere mantenute non più di 8 settimane a seconda delle condizioni ambientali e della presenza o meno di covata. Impiegare sempre in assenza di melario e non contemporaneamente ad altri antiparassitari.

Apivar. Il suo principio attivo, l’amitraz, ha attività acaricida per contatto. Si trova in commercio in bustine da 10 strisce. Il trattamento può essere effettuato a fine estate e ad ogni primavera, preferibilmente in assenza di covata. Posizionare 2 strisce di Apivar per alveare in prossimità della covata e mantenere una distanza minima di due telaini tra una striscia e l’altra. Lasciare le strisce dentro all’alveare per almeno 42 giorni e non oltre 56 giorni.

Apitraz.

 

È auspicabile effettuare almeno 2 trattamenti antivarroa l’anno.

L’attività acaricida dei trattamenti può essere potenziata con un blocco artificiale della covata mediante ingabbiamento della regina. A titolo esemplificativo, nel caso di trattamento con ApiBioxal® (sia sublimato che gocciolato) l’ingabbiamento può essere effettuato al momento del primo trattamento, per liberare poi la regina dopo 21 giorni contemporaneamente col secondo trattamento. Invece, in estate, l’ingabbiamento della regina può essere realizzato contemporaneamente all’impiego dei prodotti a base di olii essenziali sopra citati.

Quando si effettuano trattamenti antivarroa è bene spalmare vaselina o grasso, oppure posizionare fogli adesivi nel cassettino estraibile antivarroa (cassettino diagnostico) per impedire la risalita degli acari che cadono storditi sul fondo dell’arnia.

La strategia ideale nella lotta alla varroa prevede un coordinamento tra gli apicoltori di una stessa zona (che potrebbe essere realizzato dalle Associazioni di apicoltori in accordo con i Servizi Veterinari Pubblici) in maniera tale da:

  1. limitare la presenza simultanea, nell’ambito dello stesso territorio, di colonie trattate e di colonie non trattate;
  2. realizzare una alternanza dei principi attivi per scongiurare fenomeni di farmaco-resistenza.

L’impiego di farmaci non consentiti per la lotta alla varroa può comportare: rischi per la salute dell’operatore, rischi di persistenza di residui nel miele, mortalità delle famiglie, nonché insorgenza di ceppi resistenti dell’acaro.

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