Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Lazio e della Toscana "M.Aleandri"

Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Lazio e della Toscana M. Aleandri

PESTE AMERICANA

Introduzione

La peste americana è la piĂą grave e diffusa patologia infettiva delle api che colpisce la covata ed è causata da un batterio sporigeno che causa notevoli perdite economiche per l’apicoltura. Il termine “americana” non deve trarre in inganno in quanto la malattia non è stata importata dall’America, ma è stata studiata ed identificata in quel continente. La malattia peste americana è soggetta a denuncia e a misure di Polizia Veterinaria.

Eziologia

L’agente responsabile della peste americana è un batterio sporigeno, il Paenibacillus larvae (P. larvae). Le spore rappresentano la sua forma di resistenza (ad esempio, sono in grado di resistere diversi minuti alla temperatura di 100° C) e di propagazione nell’ambiente. Da una sola spora, in un ambiente adatto (ad esempio, nell’intestino delle larve), dopo 30 minuti si forma il bacillo che, moltiplicandosi, dopo solo 24 ore riesce ad originare altri 250 milioni di nuovi bacilli.

In un’arnia che ha ospitato una famiglia infetta, le spore della peste possono rimanere vitali per piĂą di 30 anni, potendo così infettare le api che vi sono immesse. L’elevata resistenza nell’ambiente, unitamente alla prognosi fortemente infausta di questa malattia, spiega come mai, nelle forme gravi di malattia conclamata, l’unico rimedio consista nella distruzione per mezzo del fuoco sia delle famiglie, che dei favi infetti.

Le larve delle api nelle prime 24 ore di vita sono il principale bersaglio del P. larvae. Dopo 7 giorni dall’infezione e quindi a celletta già opercolata, le larve infette sopraggiungono a morte ed a questo punto il P. larvae, non trovando più idonee condizioni di sviluppo, si trasforma di nuovo in spora.

Sintomatologia

La comparsa dei sintomi in una famiglia è condizionata da diversi fattori: dalla resistenza fisiologica delle larve (per etĂ , genotipo), dalle proprietĂ  antibatteriche della gelatina reale e del polline (acidi grassi, peptidi e proteine), dal filtro del pro-ventricolo, dalla microflora intestinale antagonista e dall’attivitĂ  igienica delle api adulte, oltre che da fattori ambientali come la presenza di abbondanti raccolte nettarifere, e dal grado di virulenza e di contaminazione dell’agente infettivo, cioè dal numero di spore presenti: è stato accertato che occorrano almeno 50 milioni di spore perchĂ© si manifesti la malattia in una famiglia di media consistenza. Questo numero può sembrare imponente, ma in realtĂ  non lo è, in quanto basta considerare che una sola larva di ape, morta di peste americana, contiene circa 3 miliardi di spore. Si può quindi comprendere come questa affezione non sia da sottovalutare, proprio per le difficoltĂ  legate alla eliminazione dell’agente eziologico e alla facilitĂ  di diffusione.

La covata colpita dalla malattia è caratterizzata da una elevata mortalità e quindi all’esame del favo si presenta non compatta; alcuni opercoli sono più scuri della norma ed infossati o forati al centro. Inoltre si può percepire un odore fetido, acido, simile a colla di pesce, che è tipico di questa patologia.

Le larve infette perdono la loro fisiologica colorazione bianco perlacea e divengono dapprima giallastre, poi di color nocciola scuro. Al tempo stesso assumono una consistenza vischiosa, deliquescente per azione di alcuni enzimi prodotti dal germe. Se introduciamo un bastoncino di legno (ad esempio uno stecchino od un fiammifero) nella cella infetta contenente la larva morta, nel ritirarlo si forma un filamento vischioso color nocciola di alcuni centimetri che, rompendosi, si ritira elasticamente verso la cella; questa prova di campo viene definita: “prova dello stecchino”.

Dopo 6-7 settimane la larva morta si presenta essiccata sulla parete della celletta sotto forma di piccole scaglie nerastre a forma di lingua, tenacemente adese alle pareti. Queste scaglie, come pure le larve morte deliquescenti, contengono una grande quantitĂ  di spore (> 3 miliardi).

Trasmissione

La diffusione dell’infezione avviene soprattutto attraverso il saccheggio, lo scambio di favi da nido tra diverse famiglie, la nutrizione con miele o polline contaminati. L’infezione si trasmette attraverso le spore, che ritroviamo in tutto il materiale presente negli alveari infetti ma, soprattutto, nei favi contenenti covata e scorte. Spore di P. larvae si possono infatti rinvenire nelle operaie, nel miele, nel polline, nella cera, sulle pareti dell’arnia ed anche sul predellino, in quanto le larve morte vengono trascinate fuori dell’alveare dalle api spazzine.

Il contagio delle larve avviene per via orale, mediante l’alimento contenente spore che gli viene somministrato dalle operaie. Quanto più sono giovani, tanto più le larve sono predisposte ad ammalarsi. Le api operaie, nel tentativo di ripulire le cellette occupate dalla covata morta di peste, imbrattano tutto il loro corpo e l’apparato boccale con i residui vischiosi delle larve, divenendo dei vettori di spore per le larve.

Poiché la famiglia ammalata risulta molto indebolita, può venire saccheggiata dalle famiglie più forti; è questo uno dei modi con cui la peste può trasmettersi da alveare ad alveare e da apiario ad apiario. Una famiglia sana e robusta che non abbia subito stress (fame, freddo, caldo) ed alla quale sono stati frequentemente cambiati i fogli cerei e sostituire la regina ogni 2-3 anni, più difficilmente si ammalerà; ma è proprio attraverso il saccheggio delle famiglie deboli ed infette, che anche le famiglie molto forti possono ammalarsi di peste.

Purtroppo a volte è lo stesso apicoltore, che con le normali operazioni apistiche, a favorire la diffusione della malattia. Questo può avvenire soprattutto mediante la leva (dopo averla usata per fare la “prova dello stecchino”!), oppure mediante il trasferimento dei favi di covata o di miele, l’uso di attrezzi contaminati, la cattura o l’acquisto di sciami di incerta provenienza, la nutrizione effettuata con miele infetto, etc..

Fonte di contagio per alveari sani possono essere gli alveari abbandonati in genere, come pure quelli abbandonati dopo che sono stati usati per il servizio di impollinazione e quelli che sono stati abbandonati dopo che sono stati usati per la pratica del nomadismo. Anche il semplice mancato rinnovo dei fogli cerei del nido 2-3 telaini/anno o la mancata sostituzione delle regine (ogni due/tre anni) può rappresentare un fattore di rischio per l’insorgenza di questa patologia. Non da ultimo, va anche considerato che esistono regine che risultano essere più o meno sensibili alla malattia, in base alle loro caratteristiche genetiche.

Diagnosi

E’ possibile formulare una diagnosi di campo dopo aver eseguito un attento esame della covata, associando i sintomi caratteristici sopra descritti alla positività della prova dello stecchino. La sintomatologia è solitamente abbastanza esplicita. Nei casi dubbi si può ricorrere a kit per la diagnosi di campo reperibili in commercio, oppure ad un laboratorio di microbiologia specializzato nel settore (es. Istituto Zooprofilattico). In ogni caso, ogni sospetto va comunicato ai Servizi Veterinari Pubblici.

La ricerca delle spore nel miele può essere effettuata in laboratorio. Questa analisi può risultare utile dal momento che può essere usata come strumento di monitoraggio della presenza/prevalenza della peste americana nell’azienda o nel territorio. Poiché la diagnosi di peste americana è un aspetto di fondamentale importanza per il rapido contenimento della patologia, su questo argomento sarà più avanti dedicato un apposito paragrafo.

La prognosi di questa malattia è sempre gravissima: quando in un alveare riscontriamo larve morte nello stadio filante, il destino della famiglia è quasi sempre segnato ed in una o in poche stagioni arriverà a morte, mettendo anche a repentaglio la salute delle altre arnie.

Terapia

Non esistono medicamenti risolutivi nei confronti della peste americana. Non esistono inoltre farmaci (antibiotici) specificamente autorizzati per l’apicoltura. Gli antibiotici ed i chemioterapici riescono ad avere effetto solo sulla forma vegetativa del germe e non sulla forma sporigena; contengono quindi gli effetti clinici dell’infezione, ma non eliminano le spore, anzi ne facilitano la diffusione per l’azione di mascheramento della sintomatologia (forme sub-cliniche). Inoltre, il ricorso agli antibiotici, oltre ad essere illegale, favorisce la comparsa di forme di farmaco-resistenza ed il rischio della presenza di residui nei prodotti dell’alveare. In caso di malattia in stadio conclamato, la distruzione per incenerimento delle colonie e dei favi colpiti resta tuttora l’intervento piĂą indicato, così come viene indicato dal Regolamento di Polizia Veterinaria (RPV): denuncia obbligatoria all’AutoritĂ  Sanitaria, ed a livello dell’intera area sospetta (raggio di 3 km), divieto di rimozione degli alveari e del materiale, disinfezione delle arnie e delle attrezzature, trattamenti curativi consentiti solo in caso di malattia allo stadio iniziale. Infatti l’articolo 155 del RPV, puntualizza che: “Nei casi di peste americana o europea, può venire ordinata la distruzione delle famiglie delle arnie infette….Se la malattia è allo stadio iniziale possono essere consentiti opportuni trattamenti curativi. L’apiario trattato deve poi essere tenuto in osservazione e sottoposto ad esami di controllo sino a risanamento accertato”. L’ipotesi del trattamento con antibiotici, pur ammessa implicitamente dal Regolamento, non può in pratica essere invocata, come indicato da altre normative (art. 11 del D.L.vo 193/2006 e dalla assenza di LMR ammessi. Oltre al pericolo dei residui, tale intervento si ritiene non ammissibile in quanto può facilmente indurre guarigioni solo apparenti, con conseguente rischio di ulteriore diffusione della infezione. La miglior cosa da fare per diminuire la prevalenza della malattia e tutelare gli apiari colpiti è quindi distruggere gli alveari infetti: si procederĂ  prima all’uccisione delle api adulte con vapori di zolfo ad arnia chiusa, operando nelle ore serali o al mattino presto, in modo che nessuna bottinatrice rimanga fuori dall’arnia. Dopo aver ucciso le api, si procederĂ  alla distruzione di tutti i favi messi insieme alle api morte in una buca scavata per l’occasione, mediante il fuoco. Tutti gli oggetti infetti con il fuoco impiegati per la manipolazione degli alveari infetti, comprese le attrezzature utilizzate dall’apicoltore per le operazioni apistiche (ad esempio, la leva, i guanti, la tuta, lo smielatore, ecc.), andranno accuratamente lavati con acqua calda e sapone e poi disinfettati (ipoclorito di sodio al 3%, sali di ammonio quaternario). Le arnie possono essere trattate, con: radiazioni ionizzanti (raggi gamma), immersione in paraffina a 160 C° per 10 min, forno 170 C° per 1 ora, soda caustica (raschiatura delle superfici, immersione per 5-20 min. in soluzione bollente al 1%, risciacquo per immersione in acqua), passaggio alla fiamma azzurra, per essere così recuperate. Una pratica usata per tentare di salvare le api adulte dell’alveare infetto, è la così detta “Messa a sciame” o “Cura famis”. Questa può essere realizzata in diversi modi, che possono prevedere o meno: la ripetizione della pratica (messa a sciame “doppia”), l’ingabbiamento o la sostituzione della regina, la sostituzione dell’arnia, la nutrizione della famiglia dopo la messa a sciame, la vangatura del terreno sottostante l’arnia. In ogni caso, la pratica vera e propria consiste nel trasferire le api adulte e la regina su fogli cerei nuovi (importante che siano non costruiti), allontanando e distruggendo con il fuoco i favi vecchi infetti (in cui risiede la maggior concentrazione delle spore batteriche).

E’ importante non somministrare in questa fase alimenti nĂ© telaini con covata o giĂ  costruiti alle alpi, in modo che possono consumare il miele infetto contenuto a livello del loro apparato digerente e soprattutto nella borsa melaria (dilatazione dell’esofago presente a livello della cavitĂ  addominale, dove le operaie immagazzinano il nettare durante la raccolta). Da cui il nome di cura della fame o “cura famis”, appunto.

La messa a sciame è una pratica che può dare buoni risultati se effettuata con cognizione di causa, su alveari forti, ed in un periodo favorevole (primavera/inizio estate) per lo sviluppo della famiglia (deve essere stirata cera nuova per i telaino). Ideale, sarebbe anche sostituire il prima possibile, dopo la messa a sciame, le regine delle famiglie che hanno presentato la malattia; questo al fine di migliorare il patrimonio genetico presente in apiario. La messa a sciame rimane, in ogni caso, una pratica che prevede un certo dispendio di tempo e la necessità di fogli cerei ed api regine per la sostituzione.

Le recidive dei casi di peste in concomitanza di stagioni non favorevoli (tarda estate) per le api od in famiglie particolarmente debilitate, continuerebbe a far sì che l’eliminazione delle famiglie ammalate venga considerata, in questi casi, la via preferenziale da adottare. Logicamente tale pratica non potrà essere realizzata in autunno ed in inverno. Secondo studi effettuati dall’Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Regioni Lazio e Toscana, in collaborazione con la ASL RM/E, la ASL RM/G e la ASL di Viterbo sulla pratica della messa a sciame, si è visto che i casi di recidiva in primavera/inizio estate sono pari al 2%, mentre in tarda estate salgono al 26%.

Profilassi e Prevenzione

Una strategia aziendale per la profilassi e la prevenzione della peste americana prevede la messa in pratica di efficaci e buone pratiche di allevamento, così sintetizzate:

  1. Controllo degli alveari: Diagnosticare tempestivamente l’infezione è importante ai fini della profilassi della peste americana. Il controllo degli alveari deve essere assicurato mediante un piano di visite periodiche finalizzate a valutare non solo le condizioni di forza e produttività delle colonie in relazione alla stagione, ma anche lo stato di salute. Anomalie nello sviluppo delle colonie possono essere un indicatore di stati patologici in atto, che dovranno essere accertati con verifiche più approfondite. E’ utile quindi individuare nel corso della stagione alcuni momenti di maggiore criticità in corrispondenza dei quali eseguire controlli clinici meticolosi. Il monitoraggio delle spore nel miele costituisce un utile strumento di prevenzione.
  2. Diffusione dell’infezione: L’apicoltore gioca un ruolo importante nella prevenzione della peste in quanto può limitare fortemente la possibilità che l’infezione si diffonda. A tal fine è importante: minimizzare lo scambio di favi tra gli alveari e tra gli apiari; evitare l’utilizzo di miele nell’alimentazione delle colonie. E’ buona prassi infine sottoporre a disinfezione le arnie e i materiali in genere che non diano sicurezza dal punto di vista sanitario.
  3. L’applicazione di procedure di rintracciabilità degli alveari e della relativa attrezzatura (ad esempio la numerazione degli alveari, dei melari, degli escludi-regina, dei nutritori, etc.) consente l’identificazione univoca e certa di tutto ciò che è venuto a contatto con colonie infette o sospette di infezione. La gestione separata degli alveari e della relativa attrezzatura costituisce un sistema efficace quanto più seguito in modo rigoroso, anche se di difficile applicazione.
  4. E’ necessario prevenire i fenomeni di saccheggio evitando di avere famiglie deboli, arnie rovinate, apiari abbandonati nelle vicinanze.
  5. Prevenire i fenomeni di deriva: colorando/disegnando i frontalini ed i predellini di volo delle arnie, disponendo correttamente gli alveari
  6. L’eliminazione sistematica e frequente dei favi vecchi: la loro sostituzione con fogli cerei costituisce una pratica igienica molto efficace nel ridurre la carica batterica e di spore contaminanti il nido. Si raccomanda di rifornirsi presso cererie autorizzate, che diano garanzie di sterilizzazione della cera. Il rinnovo della cera è una pratica utile anche per l’eliminazione dei residui delle sostanze utilizzate per i trattamenti farmacologici, effettuati sugli alveari e che si accumulano progressivamente nella cera.
  7. Api regine: Si raccomanda di utilizzare api regine giovani e prolifiche nonché di comprovato valore genetico. A questo proposito è noto che la selezione delle colonie sulla base del comportamento igienico, oltre che delle capacità produttive, porta a miglioramenti significativi a livello di attitudini difensive contro la peste americana. Sostituire la regina al massimo ogni due anni, è importante per avere sempre famiglie vigorose e con un elevato numero di operaie che sappiano giocare un ruolo molto importante nel rimuovere rapidamente la covata infetta.
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